Gela. Contro la violenza di genere e per tutelare le vittime, anzitutto donne. “Diritto e donna” riparte con la propria azione in città. Una struttura sarà a disposizione di donne vittime di soprusi. Operatrici e legali stanno in un contesto che da alcuni anni ormai si prefigge l’intento di mettersi dalla parte di chi è vessato. “Un dovere morale” così l’ha definito il neo presidente dell’associazione, Rosa Iudici. Durante la presentazione, all’interno della pinacoteca comunale, si sono susseguiti gli interventi di legali che sono in prima fila nella tutela delle vittime, tra questi gli avvocati Valentina Lo Porto e Angelo Cafà, e di tutti coloro che stanno contribuendo. Oltre a Iudici, il vicepresidente Sonia Madonia. Da lunedì, sarà attiva linea mobile H24, al numero 350.8085925, e sarà online il sito dell’associazione www.dirittoedonna.it. La sede è già stata ricavata nella Casa del volontariato di via Ossidiana. Per chi deciderà di denunciare, si aprirà un vero e proprio percorso di accompagnamento, sociale e giudiziario. Capita ancora troppo spesso, però, che le donne vittime di vessazioni, pur denunciando, successivamente facciano passi indietro oppure si allontanino senza dare seguito all’azione. Ha moderato la sociologa Giorgia Butera, dell’associazione Mete. Un’iniziativa che ha trovato l’appoggio istituzionale del sindaco Di Stefano, del presidente del civico consesso Paola Giudice, della giunta, di consiglieri come Alberto Zappietro e del deputato Totò Scuvera.
Gela. Era accusata di aver portato via la figlia minorenne, sottraendola però all’allora marito che presentò querela nei suoi confronti. Inoltre, una donna romena quarantaduenne, che vive in città, era ritenuta responsabile di minacce ai danni del consorte. Fatti che però non hanno trovato riscontro in giudizio. Il magistrato del tribunale di Agrigento, davanti al quale si è tenuto il dibattimento, ha emesso una decisione di assoluzione, accogliendo la ricostruzione difensiva, sostenuta dal legale della donna, l’ avvocato Angelo Cafà . La minore fu portata all’estero per un certo periodo di tempo, secondo i pm senza alcun assenso del padre che si ritrovò nell’impossibilità di comunicare con lei. Stando alle contestazioni, l’imputata avrebbe minacciato il marito. Se avesse tentato di rintracciarle, per gli investigatori sarebbe andato incontro a possibili ripercussioni. La difesa ha però ribadito che gli elementi posti alla base dell’indagine non hanno trovato riscontro nel corso del dibattimento. Il giudice ha così emesso una decisone assolutoria.
Gela. Condanna a quattro mesi, con pena sospesa e non menzione. Il giudice Miriam D’Amore ha riconosciuto la responsabilità di due medici dell’ospedale “Vittorio Emanuele”, M. P. e L. G. finiti a processo a seguito di un’indagine partita dalla denuncia dei genitori di un neonato, che riportò gravissime conseguenze. A causa di una paralisi cerebrale, il bambino si trova in condizioni di ritardo e la vita dell’intera famiglia è mutata radicalmente. La procura, nella requisitoria del pm, aveva già concluso individuando la conferma del quadro accusatorio. I due medici avrebbero gestito in modo non conforme quel parto. Secondo il pm, ci sarebbero state difformità pure nelle testimonianze rese per ricostruire i fatti. La madre, sentita in aula nelle scorse udienze, riferì che ad un certo punto iniziarono ad esserci problemi di battito. Non avrebbe sentito neanche il vagito del neonato, poi trasferito all’Utin di Agrigento. Le manovre praticate e i protocolli attuati durante quelle lunghe ore sono state al vaglio della procura e dei consulenti che si sono susseguiti nella ricostruzione del quadro complessivo. Gli stessi imputati si sono avvalsi di propri esperti per vagliare il tipo di attività effettuata per quel parto. L’intero periodo precedente alla nascita, secondo quanto riferito dai genitori, non aveva destato alcun tipo di preoccupazione. Si attendeva un esito tutt’altro che critico. Proprio il loro legale, Giacomo Ventura, costituito parte civile, nelle conclusioni ha rimarcato quelle che ritiene siano state consistenti anomalie nel rapportarsi con la partoriente e nell’attuare tutte le manovre. Le difese dei medici hanno approfondito gli aspetti più strettamente tecnici, riportandosi pure alle conclusioni dei periti. Ritengono che non ci furono errori né che siano stati trascurati i parametri del quadro clinico complessivo, anche rispetto al nascituro. Lo hanno ribadito nelle conclusioni esposte in aula. Sono state assolte, invece, le due ostetriche Franca Gualato e Concetta Benenati. Per loro, la formula è “per non aver commesso il fatto”. La procura aveva concluso in questo stesso senso. I difensori, gli avvocati Rocco Guarnaccia e Angelo Cafà, hanno insistito sui compiti delle due operatrici e sul fatto che non siano emersi elementi a loro carico, tali da poter individuare eventuali condotte errate. Il giudice ha riconosciuto ai genitori, costituiti parti civili, una provvisionale da sessantamila euro. Inoltre, sempre alle parti civili, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. fonte: quotidianodigela.it
Gela. I fatti risalgono a diversi anni fa, quando finirono al centro di verifiche della guardia di finanza e della procura, confluendo nell’indagine “Spin off”. Ieri, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quattro anni e cinque mesi di reclusione per il professionista Fabio Fabulo. L’indagine si concentrò proprio intorno alla sua posizione e alle operazioni ritenute irregolari effettuate su alcune società. La procura generale ha concluso per la condanna da confermare. Nei suoi confronti si concentravano diverse accuse, comprese l’associazione, la bancarotta e la distruzione di documenti contabili. Per gli inquirenti, trasferì irregolarmente ingenti somme. La difesa, rappresentata dall’avvocato Davide Limoncello, nel ricorso ha sostenuto l’assenza di presupposti per ritenere che le operazioni irregolari fossero da collegare all’attività di consulenza di Fasulo. In appello, fu prodotto il verbale di dichiarazioni rilasciate da Rosario Marchese (non coinvolto nell’indagine) che comunque escludeva un ruolo di Fasulo. La difesa ha posto dubbi sulle motivazioni emesse in secondo grado. La Cassazione ha confermato la condanna. In appello erano venuti meno altri capi di accusa. Annullamento con rinvio, invece, per altri due coinvolti. Sono stati accolti i ricorsi dei legali di Pietro Caruso (rappresentato dall’avvocato Flavio Sinatra) e Cristian Ciubotaru (con i legali Angelo Cafà e Giovanni Cannizzaro). Le loro posizioni dovranno essere riviste dalla Corte d’appello di Caltanissetta, come chiesto anche dalla procura generale. Secondo le imputazioni avrebbero saputo delle operazioni irregolari, operando come “teste di legno”. A Caruso era addebita la bancarotta. In appello, per Caruso la pena era stata di tre anni e tre mesi; per Ciubotaru, invece, di un anno e nove mesi. I legali hanno insistito sulla linea dell’accoglimento dei ricorsi. I due imputati, infatti, non avrebbero avuto contezza delle operazioni illecite, così è stato ribadito.
Gela. Gli atti sono stati trasmessi alla procura, per le determinazioni successive, al termine dell’udienza odierna. A questo punto, potrebbero essere chiuse le indagini, con le fasi successive. I pm, infatti, così come indicato dal gip che accolse l’opposizione all’archiviazione, hanno proseguito gli approfondimenti su quanto accadde due anni fa. Una donna di nazionalità romena, che viveva e lavorava in città, morì dopo aver patito un malore. Venne richiesto l’intervento dei sanitari. L’ambulanza arrivò, con a bordo gli operatori. La donna però non venne trasferita in ospedale. Per la sorella, ci sarebbero state anomalie e possibili omissioni, che la condussero a segnalare i fatti. La donna perse la vita e secondo la sorella e altri familiari, il trasferimento in ospedale probabilmente avrebbe potuto consentire ai medici di valutare con maggiore attenzione il quadro clinico. L’indagine si è concentrata su due operatori che erano nell’ambulanza giunta a seguito della richiesta di intervento. Secondo gli operatori non ci sarebbero state anomalie, dato che la donna firmò il relativo modulo, con il quale rinunciava al trasferimento in ospedale, peraltro in quel periodo con i posti totalmente occupati da pazienti Covid. Il legale che rappresenta i familiari della donna deceduta, l’avvocato Angelo Cafà, presentò opposizione all’archiviazione, richiedendo appunto che la procura effettuasse ulteriori riscontri, individuandone i presupposti. Indicazione accolta dal gip che dispose la prosecuzione delle indagini, che adesso potrebbero anche condurre ad altri sviluppi. fonte: quotidianodigela.it
Gela. E’ stato accolto l’appello per entrambe. Così, sono state assolte due donne, in passato al centro di un diverbio, sfociato anche in presunte minacce e lesioni. Il giudice di pace aveva indicato la condanna. Ieri, invece, il giudice Serena Berenato, ha disposto l’assoluzione. I legali di difesa, gli avvocati Angelo Cafà e Davide Limoncello, sono entrati nel merito della vicenda, spiegando che sarebbero mancati gli estremi per ritenere sussistenti i presupposti dei reati. Anche il significato dialettale di un’espressione usata nella lite è stato oggetto di valutazione difensiva. Alla fine, il giudice ha deciso per l’assoluzione. fonte: quotidianodigela.it
Gela. “Non doversi procedere”. Con questa formula il giudice del tribunale di Udine ha chiuso il procedimento che era stato incardinato nei confronti di un gelese quarantaquatrenne. Era accusato di una presunta truffa assicurativa. Per la procura friulana, avrebbe simulato un incidente stradale solo per il premio. Gli atti arrivarono ai pm di Udine in relazione alla sede della compagnia assicurativa che avrebbe subito il presunto raggiro. La difesa dell’imputato, sostenuta dal legale Angelo Cafa’, ha in avvio avanzato una prima eccezione, rispetto alla presentazione della querela. Ha fatto rilevare l’assenza delle condizioni di procedibilità, trattandosi solo di una procura generale e non invece di una speciale rilasciata per il formale deposito della querela. Il giudice ha preso atto, chiudendo il procedimento.. fonte: quotidianodigela.it
Gela. Non sono emersi presupposti per avallare la contestazione mossa dall’accusa. E’ stata assolta una donna, finita a processo con l’accusa di aver violato i provvedimenti restrittivi imposti durante il periodo della pandemia da Covid. La decisione è stata pronunciata dal giudice Martina Scuderoni al termine del dibattimento. L’imputata era ritenuta responsabile di aver lasciato la propria abitazione, nonostante fosse sottoposta ad isolamento. Gli accertamenti vennero effettuati sulla scorta delle segnalazioni di una conoscente, con la quale c’era stato un alterco verbale. Lei avrebbe riferito che l’imputata, in quel frangente, lasciò l’abitazione, uscendo in strada. La difesa, sostenuta dall’avvocato Angelo Cafà, ha però messo in luce che dalle testimonianze rese in aula non sono state acquisite conclusioni tali da avvalorare la tesi dell’accusa. L’imputata riferì di essersi attenuta agli obblighi e di non averli infranti. fonte: quotidianodigela.it
Gela. Non hanno occupato abusivamente l’alloggio Iacp nel quale vivono attualmente. La decisione, in settimana, è stata pronunciata dal giudice monocratico del tribunale, nei confronti di una coppia di coniugi, finita a processo. Durante l’istruttoria dibattimentale, la difesa, sostenuta dall’avvocato Angelo Cafà, ha ripercorso lo sviluppo dell’intera vicenda. E’ stato riferito che gli imputati erano già residenti nell’immobile, insieme ad un familiare al quale era stato assegnato regolarmente. Avevano il suo completo assenso. Nel corso del tempo, hanno iniziato a richiedere una regolarizzazione completa per la permanenza, anche con il versamento delle quote dovute. Aspetti che hanno portato il giudice ad una pronuncia favorevole, così come richiesto dal legale dei coniugi. fonte: quotidianodigela.it
Gela. Era accusato anche di aver minacciato di morte una donna, sua vicina di casa. Un giovane, minorenne all’epoca dei fatti, è stato però assolto dai giudici del tribunale di Caltanissetta. Non sono emersi elementi per ritenere che la contestazione fosse fondata. La difesa, sostenuta dall’avvocato Angelo Cafà, ha dimostrato che in realtà il giovane, proprio in quei frangenti, non si trovava nella sua abitazione né era con il resto del nucleo familiare, che aveva avuto dissidi con la donna. Era sul proprio posto di lavoro, in una pizzeria della città. Elementi che hanno indotto il gup del tribunale minorile di Caltanissetta a disporre l’assoluzione. Un altro minore, fratello dell’imputato, aveva già ottenuto una decisione analoga. fonte: quotidianodigela.it