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“Mio marito in cella dopo 17 anni.  Era un ragazzo, oggi è un uomo con tanto di lavoro e famiglia”

Avv. Angelo Cafà • 27 gennaio 2018

Rita Bernardini, esponente del Partito Radicale, dalla mezzanotte di lunedì ha ripreso lo sciopero della fame per chiedere l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario.

LA LETTERA INVIATA A RITA BERNARDINI

“ Mio marito in cella dopo 17 anni Era un ragazzo, oggi è un uomo con tanto di lavoro e famiglia”

DAMIANO ALIPRANDI

«È proprio vero che per comprendere alcune cose, le devi vivere». Così esordisce la lettera inviata a Rita Bernardini, esponente del Partito Radicale che dalla mezzanotte di lunedì ha ripreso lo sciopero della fame per chiedere l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario prima delle elezioni politiche del 4 marzo. A scriverle è una moglie di un detenuto che è stato tratto in arresto a febbraio dello scorso anno, ma per un reato commesso nel lontano 2000, con una condanna definitiva a 11 anni e 11 mesi per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Storia che riguarda quella della lentezza dei nostri processi. Persone che nel frattempo cambiano vita, si “rieducano” da soli trovando un lavoro onesto e formando una famiglia. I processi, in Italia, molto spesso durano un’eternità. Motivo per il quale, la Corte europea dei diritti dell’uomo inflisse all’Italia diverse condanne per “l’irragionevole durata del processo”. La moglie del detenuto si rivolge alla Bernardini spiegando che fino a un anno fa non capiva come mai, persone come l’esponente radicale o Marco Pannella, avessero così a cuore l’esistenza delle persone che finivano in galera. «Tutti quegli scioperi – scrive -, quelle lotte, ma perché? Ma per chi? Ma chi glielo fa fare? Pensavo. “È gentaglia quella, la feccia del paese, non merita nessuna pietà”». La moglie del detenuto prosegue: «E poi? E poi è toccato a me affrontarla quella feccia, viverla, odiarla, amarla, capirla e sperare, pregare che gente come lei ( Rita Bernardini, ndr), adesso che Marco Pannella non c’è più, non mollassero, ma continuassero a lottare per cercare di ridarci un minimo di dignità e felicità, quella appunto che ormai non abbiamo più. In un attimo capisci che in quella feccia ci sono madri, padri, mogli, figli, persone come me, che vivono il mio stesso dramma».

Nella lettera viene riportata la richiesta di grazia al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dove ben riassume il suo caso. Per motivi di privacy omettiamo qualsiasi riferimento che possa ricondurre alla persona.

“Ill. mo Signor Presidente Mattarella, i miei occhi sono gonfi, secchi, non ho più lacrime da versare, il mio sguardo è perso e la mia bocca è serrata, poche parole per tante emozioni, se è vero che il silenzio vale più di mille parole, il mio dentro sta urlando, piangendo, strappandosi i capelli. È un silenzio che ha tante cose da dire, ma che non sa come fare, perché è incredulo, scoraggiato, allibito. Nel 2017 per la mia famiglia si è aperta una porta, quella del carcere. Si è aperta la porta a quella che io definisco “la mia realtà virtuale”, quella che non posso più definire vita. Nel 2017, in pochi istanti si è distrutto tutto ciò che di buono in questi anni abbiamo costruito. Mio marito non è innocente, ma è un uomo diverso, totalmente diverso da quello che nel lontano 2000 ha commesso, come definirli... “errori”. Era poco più di un ragazzo all’epoca, andava ancora a scuola e, a quell’età è facile travisare la realtà, ammirare chi sembra comandare, pensare di essere onnipotenti, volere il soldo facile, ostentarsi, essere idolatrato dagli altri, perché parliamoci chiaro, questo è quello che succede, soprattutto nel Sud Italia, la gente non ti evita, ma ti fa la riverenza. Un ragazzo di 19/ 20 anni, che d’accordo un bambino non lo è più, osserva, ne è attratto, lo desidera, del resto è scritto anche nella Bibbia “che quando il desiderio diviene fertile partorisce il peccato” e ha peccato e come tale andava punito. Sì, Signor Presidente andava punito, ma all’epoca. Sono passati 17 anni e da quell’episodio non ne sono più susseguiti altri, era solo un ragazzo, ma la lezione l’ha capita subito, dopo aver scontato un po’ di pena, si è rimboccato le maniche, è andato via da quel paese che lo aveva portato a desiderare ciò che era sbagliato, si è allontanato e ha cominciato a lavorare e ha lavorato, lavorato e lavorato. Ha messo il lavoro al centro della sua vita, pochissimi giorni di ferie, tanta responsabilità, doveva riscattarsi, dimostrare che la lezione l’aveva imparata e che c’è più gusto e soddisfazione a guadagnarsi onestamente il pane e non con facilità. Sono passati 17 anni e di strada ne ha fatta tanta, ha conosciuto me, ci siamo sposati, abbiamo avuto due meravigliosi bambini, abbiamo comprato una casa, abbiamo cominciato a costruire il nostro futuro. Abbiamo cercato di educare i nostri figli alla lealtà, all’onestà. Stava andando tutto bene, avevamo trovato il nostro equilibrio, una famiglia come tante, non una perfetta, ma la nostra famiglia. E poi nel 2017 si è aperta quella maledetta porta. Signor Presidente, mi dica a cosa serve adesso? A cosa serve inserire una persona totalmente riabilitata, rieducata, in un ambiente che a quello dovrebbe servire? Lo allontaniamo

dai suo affetti, lo facciamo stare a contatto con persone che ancora quel percorso riabilitativo non l’hanno completato, lo diseduchiamo… mi perdoni, ma lo scopo del carcere in questo caso ha perso il suo scopo… abbiamo perso Signor Presidente. Siamo in difficoltà Signor Presidente, prima si percepivano due stipendi che ci permettevano quantomeno di arrivare a fine mese, adesso un solo stipendio. Come spiegherò questo ai miei figli? Come potrò guardali negli occhi e dire: “Sì, è vero papà ha sbagliato, è giusto che paghi, ma ha sbagliato quando era ancora un ragazzo, quando voi non eravate neanche nei nostri pensieri, quando non sapeva che ci sareste stati, quando non si è in grado di capire appieno le conseguenze delle azioni sbagliate”; “È vero papà ha sbagliato, quindi è giusto che paghi, però lo ha capito subito, non ha più commesso errori”; “È vero amori miei, ho sempre detto che, alle persone che si rendono conto dei loro errori, bisogna dare una seconda possibilità…” e sentirmi poi rispondere: “E perché mamma a noi non la stanno dando? Cosa mi vuoi dire che se io faccio anche un solo errore nella mia vita sono spacciato? Tutti si ricorderanno solo dell’errore che ho commesso e nessuno terrà conto della persona che sono diventato ora? Nessuno mi aiuterà? ”. “Cosa mi stai dicendo mamma… papà quando lo rivedrò, quando tornerà a casa, quando torneremo ad essere felici? Quando potrò vederlo più di un’ora alla settimana e non stare seduti dietro ad un tavolino, ma magari dare due calci ad un pallone? ”. “Mamma, cosa mi stai nascondendo, non credo a quello che stai dicendo, non ci credo che papà abbia fatto un solo errore e poi più, chissà cosa avrà fatto! Mamma perché non mi rispondi? ”. E quindi rispondo: “Tesori miei è proprio così, papà è una brava persona, ci ama, non vede l’ora di tornare a casa e riprendere la nostra vita lì, dove l’abbiamo interrotta… ma purtroppo io non sono in grado di rispondere a tutte queste domande”. Signor Presidente, mi aiuti Lei a farlo, ci aiuti Lei a chiudere quella porta e ad aprire quella della nostra casa.

La lettera poi prosegue rivolgendosi sempre a Rita Bernardini spiegando che il marito rientra nella prima fascia del reato ostativo, il 4 bis, quello che vieta ogni tipo di beneficio. «Non so – scrive l’autrice della lettera - come andrà a finire la storia dei decreti attuativi per la modifica dell’ordinamento penitenziario, che non ci risolverebbero la situazione, ma sarebbero comunque un barlume di luce in questo buio più totale». La moglie del detenuto chiede un aiuto all’esponente radicale, ovvero quello di ottenere un provvedimento a loro favore. Non pretende che sia totale. «Ci accontentiamo di qualunque cosa – scrive nella lettera-, anche di un anno, anche della possibilità di avere l’affidamento lavorativo. Il lavoro come sa nobilita l’uomo e restituirebbe una valenza a un uomo che adesso si sente inutile e responsabile delle sofferenze della sua famiglia». La lettera rivolta all’esponente del Partito Radicale, si conclude con una domanda, retorica, che racchiude tutto il senso di ingiustizia relativa all’irragionevole durata del processo e, soprattutto, l’inutilità di una pena che interrompe la rinascita di un uomo che in gioventù ha commesso dei gravi errori: «È giusto continuare a far pagare una persona che è già riabilitata e lo ha dimostrato con la sua condotta in ben 17 anni di vita vissuta?».

da ildubbio.news

Autore: Angelo Cafà 7 settembre 2024
Gela. Contro la violenza di genere e per tutelare le vittime, anzitutto donne. “Diritto e donna” riparte con la propria azione in città. Una struttura sarà a disposizione di donne vittime di soprusi. Operatrici e legali stanno in un contesto che da alcuni anni ormai si prefigge l’intento di mettersi dalla parte di chi è vessato. “Un dovere morale” così l’ha definito il neo presidente dell’associazione, Rosa Iudici. Durante la presentazione, all’interno della pinacoteca comunale, si sono susseguiti gli interventi di legali che sono in prima fila nella tutela delle vittime, tra questi gli avvocati Valentina Lo Porto e Angelo Cafà, e di tutti coloro che stanno contribuendo. Oltre a Iudici, il vicepresidente Sonia Madonia. Da lunedì, sarà attiva linea mobile H24, al numero 350.8085925, e sarà online il sito dell’associazione www.dirittoedonna.it. La sede è già stata ricavata nella Casa del volontariato di via Ossidiana. Per chi deciderà di denunciare, si aprirà un vero e proprio percorso di accompagnamento, sociale e giudiziario. Capita ancora troppo spesso, però, che le donne vittime di vessazioni, pur denunciando, successivamente facciano passi indietro oppure si allontanino senza dare seguito all’azione. Ha moderato la sociologa Giorgia Butera, dell’associazione Mete. Un’iniziativa che ha trovato l’appoggio istituzionale del sindaco Di Stefano, del presidente del civico consesso Paola Giudice, della giunta, di consiglieri come Alberto Zappietro e del deputato Totò Scuvera.
Autore: Angelo Cafà 26 agosto 2024
Gela. Era accusata di aver portato via la figlia minorenne, sottraendola però all’allora marito che presentò querela nei suoi confronti. Inoltre, una donna romena quarantaduenne, che vive in città, era ritenuta responsabile di minacce ai danni del consorte. Fatti che però non hanno trovato riscontro in giudizio. Il magistrato del tribunale di Agrigento, davanti al quale si è tenuto il dibattimento, ha emesso una decisione di assoluzione, accogliendo la ricostruzione difensiva, sostenuta dal legale della donna, l’ avvocato Angelo Cafà . La minore fu portata all’estero per un certo periodo di tempo, secondo i pm senza alcun assenso del padre che si ritrovò nell’impossibilità di comunicare con lei. Stando alle contestazioni, l’imputata avrebbe minacciato il marito. Se avesse tentato di rintracciarle, per gli investigatori sarebbe andato incontro a possibili ripercussioni. La difesa ha però ribadito che gli elementi posti alla base dell’indagine non hanno trovato riscontro nel corso del dibattimento. Il giudice ha così emesso una decisone assolutoria.
Autore: Angelo Cafà 18 giugno 2024
Gela. Presunte truffe, ancora una volta sull’accollo di debiti societari dietro pagamento, questa volta indussero la procura di Torino ad avviare un procedimento a carico del gelese trentunenne M. C., risultato rappresentante legale di una delle aziende monitorate. Le contestazioni però non hanno retto al termine del dibattimento. Per due capi di accusa concentrati sull’imputato gelese, la decisione favorevole è arrivata con la formula “perché il fatto non sussiste”. Per una terza imputazione, maturata pure per il calabrese G. A., è mancata invece la condizione di procedibilità. I pm si sono mossi intorno all’ipotesi di truffa. Pare che l’accollo dei debiti risultasse fittizio ma le somme di denaro erano concretamente versate da imprenditori intenzionati a liberarsi delle pendenze con il fisco. La difesa di C., con il legale Angelo Cafà, ha prodotto documentazione per certificare le operazioni. A. è invece assistito dall’avvocato Mauro Sgotto. Gli accertamenti furono condotti dai pm torinesi poiché le procedure vennero finalizzate proprio negli uffici del capoluogo piemontese. fonte: quotidianodigela.it
Autore: Angelo Cafà 1 maggio 2024
Gela. Condanna a quattro mesi, con pena sospesa e non menzione. Il giudice Miriam D’Amore ha riconosciuto la responsabilità di due medici dell’ospedale “Vittorio Emanuele”, M. P. e L. G. finiti a processo a seguito di un’indagine partita dalla denuncia dei genitori di un neonato, che riportò gravissime conseguenze. A causa di una paralisi cerebrale, il bambino si trova in condizioni di ritardo e la vita dell’intera famiglia è mutata radicalmente. La procura, nella requisitoria del pm, aveva già concluso individuando la conferma del quadro accusatorio. I due medici avrebbero gestito in modo non conforme quel parto. Secondo il pm, ci sarebbero state difformità pure nelle testimonianze rese per ricostruire i fatti. La madre, sentita in aula nelle scorse udienze, riferì che ad un certo punto iniziarono ad esserci problemi di battito. Non avrebbe sentito neanche il vagito del neonato, poi trasferito all’Utin di Agrigento. Le manovre praticate e i protocolli attuati durante quelle lunghe ore sono state al vaglio della procura e dei consulenti che si sono susseguiti nella ricostruzione del quadro complessivo. Gli stessi imputati si sono avvalsi di propri esperti per vagliare il tipo di attività effettuata per quel parto. L’intero periodo precedente alla nascita, secondo quanto riferito dai genitori, non aveva destato alcun tipo di preoccupazione. Si attendeva un esito tutt’altro che critico. Proprio il loro legale, Giacomo Ventura, costituito parte civile, nelle conclusioni ha rimarcato quelle che ritiene siano state consistenti anomalie nel rapportarsi con la partoriente e nell’attuare tutte le manovre. Le difese dei medici hanno approfondito gli aspetti più strettamente tecnici, riportandosi pure alle conclusioni dei periti. Ritengono che non ci furono errori né che siano stati trascurati i parametri del quadro clinico complessivo, anche rispetto al nascituro. Lo hanno ribadito nelle conclusioni esposte in aula. Sono state assolte, invece, le due ostetriche Franca Gualato e Concetta Benenati. Per loro, la formula è “per non aver commesso il fatto”. La procura aveva concluso in questo stesso senso. I difensori, gli avvocati Rocco Guarnaccia e Angelo Cafà, hanno insistito sui compiti delle due operatrici e sul fatto che non siano emersi elementi a loro carico, tali da poter individuare eventuali condotte errate. Il giudice ha riconosciuto ai genitori, costituiti parti civili, una provvisionale da sessantamila euro. Inoltre, sempre alle parti civili, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. fonte: quotidianodigela.it
Autore: Angelo Cafà 1 maggio 2024
Gela. I fatti risalgono a diversi anni fa, quando finirono al centro di verifiche della guardia di finanza e della procura, confluendo nell’indagine “Spin off”. Ieri, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a quattro anni e cinque mesi di reclusione per il professionista Fabio Fabulo. L’indagine si concentrò proprio intorno alla sua posizione e alle operazioni ritenute irregolari effettuate su alcune società. La procura generale ha concluso per la condanna da confermare. Nei suoi confronti si concentravano diverse accuse, comprese l’associazione, la bancarotta e la distruzione di documenti contabili. Per gli inquirenti, trasferì irregolarmente ingenti somme. La difesa, rappresentata dall’avvocato Davide Limoncello, nel ricorso ha sostenuto l’assenza di presupposti per ritenere che le operazioni irregolari fossero da collegare all’attività di consulenza di Fasulo. In appello, fu prodotto il verbale di dichiarazioni rilasciate da Rosario Marchese (non coinvolto nell’indagine) che comunque escludeva un ruolo di Fasulo. La difesa ha posto dubbi sulle motivazioni emesse in secondo grado. La Cassazione ha confermato la condanna. In appello erano venuti meno altri capi di accusa. Annullamento con rinvio, invece, per altri due coinvolti. Sono stati accolti i ricorsi dei legali di Pietro Caruso (rappresentato dall’avvocato Flavio Sinatra) e Cristian Ciubotaru (con i legali Angelo Cafà e Giovanni Cannizzaro). Le loro posizioni dovranno essere riviste dalla Corte d’appello di Caltanissetta, come chiesto anche dalla procura generale. Secondo le imputazioni avrebbero saputo delle operazioni irregolari, operando come “teste di legno”. A Caruso era addebita la bancarotta. In appello, per Caruso la pena era stata di tre anni e tre mesi; per Ciubotaru, invece, di un anno e nove mesi. I legali hanno insistito sulla linea dell’accoglimento dei ricorsi. I due imputati, infatti, non avrebbero avuto contezza delle operazioni illecite, così è stato ribadito.
Autore: Angelo Cafà 1 maggio 2024
Gela. Gli atti sono stati trasmessi alla procura, per le determinazioni successive, al termine dell’udienza odierna. A questo punto, potrebbero essere chiuse le indagini, con le fasi successive. I pm, infatti, così come indicato dal gip che accolse l’opposizione all’archiviazione, hanno proseguito gli approfondimenti su quanto accadde due anni fa. Una donna di nazionalità romena, che viveva e lavorava in città, morì dopo aver patito un malore. Venne richiesto l’intervento dei sanitari. L’ambulanza arrivò, con a bordo gli operatori. La donna però non venne trasferita in ospedale. Per la sorella, ci sarebbero state anomalie e possibili omissioni, che la condussero a segnalare i fatti. La donna perse la vita e secondo la sorella e altri familiari, il trasferimento in ospedale probabilmente avrebbe potuto consentire ai medici di valutare con maggiore attenzione il quadro clinico. L’indagine si è concentrata su due operatori che erano nell’ambulanza giunta a seguito della richiesta di intervento. Secondo gli operatori non ci sarebbero state anomalie, dato che la donna firmò il relativo modulo, con il quale rinunciava al trasferimento in ospedale, peraltro in quel periodo con i posti totalmente occupati da pazienti Covid. Il legale che rappresenta i familiari della donna deceduta, l’avvocato Angelo Cafà, presentò opposizione all’archiviazione, richiedendo appunto che la procura effettuasse ulteriori riscontri, individuandone i presupposti. Indicazione accolta dal gip che dispose la prosecuzione delle indagini, che adesso potrebbero anche condurre ad altri sviluppi. fonte: quotidianodigela.it
Autore: Angelo Cafà 1 maggio 2024
Gela. E’ stato accolto l’appello per entrambe. Così, sono state assolte due donne, in passato al centro di un diverbio, sfociato anche in presunte minacce e lesioni. Il giudice di pace aveva indicato la condanna. Ieri, invece, il giudice Serena Berenato, ha disposto l’assoluzione. I legali di difesa, gli avvocati Angelo Cafà e Davide Limoncello, sono entrati nel merito della vicenda, spiegando che sarebbero mancati gli estremi per ritenere sussistenti i presupposti dei reati. Anche il significato dialettale di un’espressione usata nella lite è stato oggetto di valutazione difensiva. Alla fine, il giudice ha deciso per l’assoluzione. fonte: quotidianodigela.it
Autore: Angelo Cafà 1 maggio 2024
Gela. “Non doversi procedere”. Con questa formula il giudice del tribunale di Udine ha chiuso il procedimento che era stato incardinato nei confronti di un gelese quarantaquatrenne. Era accusato di una presunta truffa assicurativa. Per la procura friulana, avrebbe simulato un incidente stradale solo per il premio. Gli atti arrivarono ai pm di Udine in relazione alla sede della compagnia assicurativa che avrebbe subito il presunto raggiro. La difesa dell’imputato, sostenuta dal legale Angelo Cafa’, ha in avvio avanzato una prima eccezione, rispetto alla presentazione della querela. Ha fatto rilevare l’assenza delle condizioni di procedibilità, trattandosi solo di una procura generale e non invece di una speciale rilasciata per il formale deposito della querela. Il giudice ha preso atto, chiudendo il procedimento.. fonte: quotidianodigela.it
1 maggio 2024
Gela. Non sono emersi presupposti per avallare la contestazione mossa dall’accusa. E’ stata assolta una donna, finita a processo con l’accusa di aver violato i provvedimenti restrittivi imposti durante il periodo della pandemia da Covid. La decisione è stata pronunciata dal giudice Martina Scuderoni al termine del dibattimento. L’imputata era ritenuta responsabile di aver lasciato la propria abitazione, nonostante fosse sottoposta ad isolamento. Gli accertamenti vennero effettuati sulla scorta delle segnalazioni di una conoscente, con la quale c’era stato un alterco verbale. Lei avrebbe riferito che l’imputata, in quel frangente, lasciò l’abitazione, uscendo in strada. La difesa, sostenuta dall’avvocato Angelo Cafà, ha però messo in luce che dalle testimonianze rese in aula non sono state acquisite conclusioni tali da avvalorare la tesi dell’accusa. L’imputata riferì di essersi attenuta agli obblighi e di non averli infranti. fonte: quotidianodigela.it
Autore: Angelo Cafà 7 novembre 2023
Gela. Non hanno occupato abusivamente l’alloggio Iacp nel quale vivono attualmente. La decisione, in settimana, è stata pronunciata dal giudice monocratico del tribunale, nei confronti di una coppia di coniugi, finita a processo. Durante l’istruttoria dibattimentale, la difesa, sostenuta dall’avvocato Angelo Cafà, ha ripercorso lo sviluppo dell’intera vicenda. E’ stato riferito che gli imputati erano già residenti nell’immobile, insieme ad un familiare al quale era stato assegnato regolarmente. Avevano il suo completo assenso. Nel corso del tempo, hanno iniziato a richiedere una regolarizzazione completa per la permanenza, anche con il versamento delle quote dovute. Aspetti che hanno portato il giudice ad una pronuncia favorevole, così come richiesto dal legale dei coniugi. fonte: quotidianodigela.it
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